martedì 4 ottobre 2011

La sentenza di Perugia: alcune considerazioni.

Non ho intenzione di entrare nel merito della vicenda, e schierarmi tra innocentisti o colpevolisti, ma alcune brevi considerazioni sulla condotta tenuta dai magistrati dell'accusa voglio farle.
E' mai possibile che vengano condotte indagini basandosi su prove scientifiche che crollano al primo riscontro obiettivo?
E' mai possibile che, di fronte a prove che si sono rivelate non attendibili, la pubblica accusa non trovi di meglio che dire nella requisitoria che ci sono i parenti della vittima che attendono giustizia? Ma la giustizia è trovare i colpevoli o comunque qualcuno da condannare?
E' mai possibile che la vita di noi cittadini debba essere nelle mani di magistrati preoccupati più di apparire che di essere?
Per la ingiusta detenzione causata dal pressappochismo di questi magistrati pagherà lo Stato italiano e quindi tutti noi. Loro, intanto, continueranno nella loro carriera sicuri che nessuno li disturberà.

venerdì 8 luglio 2011

Le Province sono diventate il capro espiatorio per gli sprechi di tutte le amministrazioni pubbliche


Alcune riflessioni sono necessarie a seguito della polemica che si è sviluppata sull’opportunità di abolire le Province nel nostro ordinamento. Certo, gli esempi di amministrazione delle Province che ultimamente abbiamo sotto gli occhi, farebbero decisamente propendere per una loro abolizione.
In realtà, le Province, dall’avvento delle regioni in poi, sono state viste come enti in grado di poter solo assorbire risorse che, se mal utilizzate, si trasformano in sprechi. Ma, a confutare tale tesi, la disciplina dell’attribuzione di nuove funzioni alla Provincia segna il tracciarsi del nuovo ruolo che l’ente assume se è vero che su 34 materie per le quali era previsto il decentramento dalla legge 59/97, in ben 27 erano previste competenze per la Provincia. Il compito più importante è comunque costituito dall’attività di programmazione, e dunque, dalla concertazione e dal coordinamento, che gli consente di assumere anche una capacità di stimolo dell’azione programmatoria regionale, aggregando e coordinando le proposte avanzate dagli enti locali. È evidente che nel nuovo sistema delle autonomie territoriali fondato sul principio di cooperazione, la programmazione provinciale deve operare rispettando il principio di sussidiarietà in senso verticale e orizzontale quindi sia i vari livelli istituzionali sia i privati che sono tutti coinvolti.
La riforma costituzionale del 2001 ha previsto l’introduzione nell’ordinamento della Città metropolitana e la conseguente distinzione delle Province che potranno avere un senso solo in territori caratterizzati dalla presenza di piccoli comuni che da soli non sono in grado di gestire funzioni importanti. Tale soluzione non si adatta, invece, a territori molto urbanizzati con un capoluogo che assume un peso notevole nella più generale gestione dell’area, come appunto nel caso della provincia napoletana. In queste aree è possibile creare l’autorità definita Città metropolitana che assume in sé le funzioni della provincia e gran parte delle funzioni dei comuni.
La necessità di avere un Ente metropolitano forte, nasce anche dalla considerazione che la globalizzazione sta provocando trasformazioni che si riflettono in una sempre più crescente competitività dei territori. Nella realtà quotidiana, a causa di questo nuovo modo di rapportarsi con il mondo, si percepisce il bisogno di un diverso ruolo delle realtà territoriali. Le tendenze che vedono la creazione di sistemi che, travalicando il singolo Stato, provocano processi di standardizzazione anche degli stili di vita, costituiscono un superamento del sistema economico fondato sulla sola figura dello Stato. Questo, infatti, è sempre meno capace di dare risposte in grado di incidere in termini di sviluppo e ciò provoca la formazione di un sistema di culture politiche territoriali che reagiscono all’omologazione. Ciò favorisce lo sviluppo di una coscienza locale che, sentendosi partecipe di un nuovo modello di sviluppo, acquista voce per affermare il proprio ruolo economico, ma anche politico.
Il territorio oggi non è più considerato esclusivamente nella sua dimensione spaziale, ma è visto artefice della produzione e della conoscenza. E’ dal territorio che provengono le sfide più importanti che fanno rivalutare e riscoprire una cultura locale che cerca di affermare una propria identità. Ciò sta portando a un’esaltazione delle differenze in contrapposizione all’omologazione che il modello globalizzante cerca di imporre. È necessario, pertanto, affrontare una sfida mondiale dando un’evidenza maggiore alle realtà locali, esaltandone le differenze; occorrono istituzioni che le rappresentino e che, organizzate adeguatamente, siano in grado di affrontare il confronto internazionale e più da vicino i problemi locali.
Oggi il concetto di comunità locale tende ad essere modificato perché non esiste solo una concezione legata allo spazio territoriale definito in termini passivi, il concetto va integrato anche in termini attivi, intendendo con essi le interazioni sociospaziali cioè quelle interazioni che si sviluppano tra soggetti localizzati.
Gli insediamenti residenziali e produttivi, le infrastrutture (specialmente quelle destinate alla mobilità come strade, ferrovie, porti ecc.), caratterizzano molte superfici che sono marginali come i comuni che circondano la Città capoluogo e la campagna. Tali spazi, però, pur superando i confini amministrativi dei vari enti territoriali, rappresentano i luoghi nei quali s’intrecciano i rapporti e rendono ancora più evidente la ristrettezza di un governo delle trasformazioni urbanistiche circoscritto alla sola scala comunale. Le previsioni insediative o di destinazione dell’uso dei suoli, implicano, inoltre, l’orientamento al governo unitario d’area vasta, anche per garantire una qualità ambientale che è andata sempre più degradandosi non trovando adeguati livelli di governo del fenomeno.
In definitiva, le Province non andrebbero abolite, ma trasformate. Questi Enti intermedi dovrebbero assumere un ruolo solo nelle realtà territoriali caratterizzate dalla presenza di una forte concentrazione di piccoli comuni che da soli non sarebbero in grado di garantire funzioni che efficacemente diano azioni di sviluppo per il proprio territorio.
Nelle grandi città con i loro interland urbanizzati, dovrebbe essere create le Città metropolitana che assumerebbero tutte le funzioni della Provincia e del comuni. Purtroppo il discorso sembra essere oramai ancorato ad un tifo di tipo calcistico tra chi pretende l’eliminazione delle Province e chi, ostinatamente, cerca di mantenere una situazione che obiettivamente non può essere più mantenuta.
I risparmi di un’abolizione delle Province sarebbero certamente ridicoli, se si pensa che comunque le funzioni che vengono attualmente svolte non potrebbero anch’esse essere abolite e quindi necessitano di risorse per il loro esercizio, risorse nemmeno tanto insignificanti. Non dimentichiamo che oggi le Province svolgono funzioni afferenti a strade ed ad edilizia scolastica, per citare solo alcune storiche, ma anche quelle importantissime relative all’ambiente ed al mercato del lavoro, per dirne alcune delle più recentemente attribuite. Gli unici risparmi potrebbero essere quelli legati ai costi della politica, ma che in definitiva rappresenterebbero un misero risparmio .
Le province, paradossalmente rispetto a quanto oggi si dice, potrebbero garantire, invece, risparmi notevoli se solo si pensasse di attribuire ad esse tutte quelle funzioni che attualmente vengono svolte da una miriade di enti che insistono sullo stesso territorio, non ultimi, potrei arrivare a dire, anche le ASL. Eliminare tanti Consorzi, Comunità montane, associazioni di comuni, Autorità di bacino, Enti di più vario genere ed attribuire tutta la responsabilità delle competenze esercitate alla Provincia di riferimento. Questo comporterebbe sicuramente dei risparmi!!!
In definitiva le Province non vanno abolite, ma trasformate, prevedendo nel contempo anche un’opera di ottimizzazione che non può prescindere dall’eliminare Province con un numero basso di abitanti. Province con meno di 200.000 abitanti non hanno senso, per esempio, ma il limite potrebbe anche aumentare.
Insomma oggi le Province sono diventate il capro espiatorio che deve essere sacrificato per le responsabilità degli sprechi che in tutte le amministrazioni ci sono. Non è un modo serio di procedere.

giovedì 7 luglio 2011

A proposito di Province


La Provincia fu creata sostanzialmente per rispondere ad esigenze di razionalizzazione dell’apparato dello Stato, senza riferimento ad un’origine che la poteva in un certo qual modo ricollegare a quella del Comune. Ma anche questo ultimo ha, a sua volta, perso nel corso degli anni la sua naturale origine di luogo “comune” nel quale si ritrovava la comunità di cittadini e che la tradizione faceva risalire al medioevo. La Provincia, invece, è stata considerata come un ente che tornava utile perché già definita come circoscrizione statale e quindi idonea ad esercitare funzioni e servizi, ma i compiti che le erano attribuiti davano più l’impressione di rispondere a criteri di casualità che ad altro.
La Costituzione del 1948, con il riconoscimento del valore dell’autonomia, non contribuiva granché a dare una nuova dignità alla Provincia perché, prevedendo la creazione delle Regioni, ne metteva in crisi l’esistenza. L’attuazione del decentramento regionale e l’assimilazione da parte delle Regioni di compiti che erano svolti dalla Provincia (particolarmente in campo sanitario), sembravano dare ragione a chi considerava inutile l’esistenza di un ente casualmente presente nello scenario dei poteri locali. Poco serviva che i decreti di trasferimento di competenze dallo Stato alle Regioni ed agli altri enti locali attribuivano anche alla Provincia delle funzioni perché, anche in questo caso, non s’intravedeva alcun ruolo importante per l’ente.
Il legislatore ha dovuto, nonostante ciò, fare i conti con una diversa configurazione della realtà locale Italiana che sempre di più convertiva la sua semplice ed originaria struttura agricola in una fortemente urbanizzata con stimoli verso un’industrializzazione che farà assumere al paese, nel volgere di pochi anni, una posizione di primo piano. Le città diventavano sempre più grandi, sul territorio si disegnavano estese e fitte arterie di comunicazioni con collegamenti anche tra realtà piccole che in tal modo si aggregavano ai centri maggiori. Intere regioni, soprattutto del Nord, si configuravano in una galassia d’imprese produttive legate in maniera reticolare tra loro. Pur tuttavia, sebbene la tendenza sembrava portare alla creazione d’ampi spazi urbanizzati per la continua crescita delle città, il fenomeno della polverizzazione dei comuni non accennava a cambiare presentandosi, in pratica, immutato anche ai giorni nostri. È questo un problema che il legislatore si è posto nella consapevolezza che, di fronte alle esigenze moderne, le piccole realtà comunali disperse sul territorio non riescono a garantire efficacemente funzioni e servizi. Le difficoltà, infatti, nella gestione delle problematiche delle città milionarie (in termini demografici) e quelle dei Comuni piccoli, evidenziavano i limiti di una normativa che li regolava nello stesso modo.
Gli anni novanta, in questa situazione, hanno segnato una svolta. La legge n. 142/90, infatti, ha rappresentato per molti aspetti un’anticipazione di quel radicale nuovo modo di intendere l’esercizio della funzione pubblica (la legge ha anticipato principi di semplificazione, trasparenza, efficienza ed efficacia che riforme immediatamente successive hanno definito in maniera più compiuta), ma soprattutto rappresentava una codificazione di strumenti di gestione dell’azione amministrativa che erano la prova che l’uniformità stava definitivamente tramontando. La riforma (che a sua volta sarà riformata a più riprese per definirsi poi nell’attuale T.U. n. 267/2000) aveva fatto assumere una diversa prospettiva all’azione amministrativa riconoscendo l’autonomia statutaria e regolamentare agli enti locali e individuando funzioni e compiti che, in particolare per la Provincia, non potevano più essere considerati casuali, ma connotativi di quel determinato livello di governo: tra tutti ricordiamo il PTCP, piano territoriale di coordinamento provinciale, che oggi può assume un ruolo primario nell’ambito di un’attività di gestione del proprio livello territoriale, così come può essere considerato il piano regolatore generale per un Comune. La pianificazione territoriale si grava di nuovi ruoli perché il mercato aperto dell’economia crea, come abbiamo posto l’accento, una competizione fra luoghi intesi come localizzazioni potenziali per attività economiche. Si assiste ad una contrapposizione tra un sistema delle imprese sempre più interessate all’efficienza dei territori di riferimento e dei rapporti con le istituzioni presenti e, dall’altra, una popolazione portatrice d’esigenze di benessere collettivo e di vivibilità. La pianificazione fornisce strumenti d’intervento a carattere orizzontale ed intersettoriale in grado di contemperare le esigenze dello sviluppo con quelle dei cittadini. Ciò evidenzia una necessaria definizione del territorio organizzato che deve prescindere necessariamente dai confini comunali.
Il ruolo della Provincia - ente intermedio tra la Regione e il Comune - è confermato e garantito dalla riforma costituzionale con l’esplicito riconoscimento delle funzioni fondamentali e delle funzioni proprie, in altre parole di tutte quelle funzioni che, con i processi di decentramento degli ultimi anni, hanno definito la Provincia ente di governo d’area vasta in grado di rappresentare gli interessi generali della sua comunità territoriale e di coordinarne lo sviluppo locale. La Provincia ha preteso quindi di assumere un ruolo che oggi la Costituzione gli riconosce a pieno titolo: essere un ente esponenziale di una comunità non più ristretta nei confini comunali, ma che si estende all’area vasta nella quale la sua attività diviene prevalentemente sussidiaria a quella dei Comuni. Le ipotesi che possiamo formulare su come l’ente potrà evolvere nel futuro, devono necessariamente incontrarsi con l’attuazione delle Città metropolitane, argomento che ha suscitato tanti dibattiti dopo l’approvazione della legge n. 142/90 che le prevedeva, ma che nel corso degli ultimi anni sembra aver perso la sua attualità. In realtà le ragioni che indussero il legislatore a prevedere la loro istituzione sono ancora valide, al punto che la stessa riforma della Costituzione ha inteso garantire una copertura costituzionale alle stesse definendole, alla pari dei Comuni, delle Province e delle Regioni, enti costitutivi della Repubblica. Questo processo è necessario perché è solo con la definitiva distinzione sul territorio di un ente che abbia poteri differenziati dagli altri enti, ma adatti alla gestione delle problematiche delle aree metropolitane, è possibile individuare un ruolo diverso della Provincia, un ruolo sempre più adatto a gestire funzioni il cui esercizio necessita di un’unitarietà di azione in quelle aree caratterizzate da Comuni piccoli ed inadeguati allo scopo. Province e Città metropolitane hanno qualcosa d’affine, sono entrambe riferibili all’area vasta, comprendendo una molteplicità di Comuni.
Nelle Province, l'area vasta comprende un territorio solo parzialmente urbanizzato e cosparso di Comuni che possono essere medi o piccoli ma chiaramente riconoscibili come comunità distinte. Le Città metropolitane, invece, sono caratterizzate dalla conurbazione, in pratica un vasto territorio urbanizzato e integrato dove le comunità sono strutturalmente connesse sul piano delle infrastrutture, delle dinamiche sociali ed economiche, della identità culturale.
La Città metropolitana, alla luce dei principi di differenziazione e adeguatezza, rappresenta l'ordinamento che meglio può gestire le maggiori realtà urbane. L'articolo 118 Cost., primo comma, ci ricorda che all'interno delle Città metropolitane dovranno comunque seguitare ad esistere i Comuni che non saranno affatto identici per funzioni e competenze a quelli situati nei diversi contesti provinciali.
Una considerazione sugli aspetti di natura finanziaria deve essere fatta perché propedeutica a qualsiasi sviluppo dell’ipotesi che stiamo prospettando. La formazione o la trasformazione degli enti locali in Città metropolitane e nuove Province, intese queste ultime nel senso d’enti locali scorporati dal territorio della Città metropolitana e che assumono le funzioni sussidiarie, non dovrebbe rappresentare un nuovo costo per le finanze pubbliche. Questo riteniamo che sia possibile se contestualmente è prevista la razionalizzazione dell’esistente. Dobbiamo costatare, per l’appunto, che grandi differenze (in termini demografici) caratterizzano le Province nello stesso modo in cui esistono differenze tra i Comuni. Naturalmente parlare in termini di “razionalizzazione” non significa uniformare, si tornerebbe indietro, ma ottimizzare le risorse questo sì. La Provincia, infatti, dovrebbe garantire la volontà delle popolazioni amministrate di riconoscersi in enti che meglio le rappresentano, ma nello stesso tempo, opportunamente dovrebbe assumere tutte quelle funzioni o servizi che oggi s’individuano in capo ad una miriade d’istituzioni incaricate di gestire le funzioni d’area vasta.
Per iniziare in modo efficace questo processo probabilmente è necessaria una modifica costituzionale che affidi alle Regioni la responsabilità d’individuare i necessari processi aggregativi degli enti e delle istituzioni presenti sul proprio territorio. Così la Regione potrebbe affrontare meglio anche l’annoso problema dei disservizi e degli elevati costi derivanti dalla polverizzazione dei Comuni. L’ambito nel quale si possono ritrovare competenze per un ente d’area vasta è notevolmente ampio e si potrebbe ipotizzare, in una situazione di semplificazione e razionalizzazione, la soppressione di tutti quegli enti che in questo momento svolgono un’identica funzione sul territorio o, al contrario, riconoscere ad alcuni di essi la dignità del livello istituzionale di Provincia con propri compiti differenziati. Ci riferiamo alle Comunità montane, alle Unioni di comuni e di isole e alle varie forme di gestione di funzioni di area vasta che abbiamo analizzato. Con questo processo si potrebbe dare un senso più preciso alla previsione contenuta nell’art. 118 Cost., rendendone concretamente attuabili i principi in esso contenuti.
Queste valutazioni non inducono necessariamente a prevedere che le Province debbano essere dappertutto ed in ogni Regione. Già le considerazioni svolte sulla Città metropolitana, infatti, escluderebbero la compresenza in ogni caso dei due enti, Comune (così come inteso adesso) e Provincia, su uno stesso territorio. Dovrebbero, inoltre, escludersi la presenza delle Province in almeno due altri casi: per la Capitale che, come pure è stato formulato in ipotesi, dovrebbe assumere la caratteristica di un ente nel quale si assommano le funzioni del Comune, della Provincia e della Regione, e per quelle Regioni nelle quali (soprattutto per il ridotto dato demografico) le funzioni della Provincia potrebbero, anzi dovrebbero, essere svolte dalla stessa Regione. La riduzione dei costi sarebbe così evidente, ma non andrebbe a scapito di un’efficiente ed efficace azione di governo del territorio.
Le prospettive per un ruolo moderno e dinamico svolto dalle Province quindi ci sono tutte, anche se ancora resistenze si registrano nel dare fiducia ad un ente che per lunghi anni è stato dimenticato. Il processo di riforma dei poteri locali, sebbene con lentezza e ripensamenti, in ogni caso continua nel suo percorso e sempre di più sembra andare nella direzione di assegnare una dignità che non sia solo formale al ruolo della Provincia.

venerdì 10 giugno 2011

Discutere di politica diventa sempre più difficile

Oramai discutere di politica diventa sempre più difficile.
Se non si parla contro Berlusconi si è considerati servi. Se non ci si esalta davanti a buffoni millionari che pretendono di imporre il loro pensiero a tutti, si viene aggrediti verbalmente ( e non solo). Se si cerca di ragionare in maniera seria, e non secondo la vulgata propagandistica, si viene derisi perchè considerati menomati.
La sinistra è sempre più incapace di avere un leader ed un programma comune, e quindi di rappresentare una reale alternativa di goveno.
Sempre più gli esponenti della sinistra, ma anche i semplici simpatizzanti, sono incapaci di discutere serenamente su temi concreti che interessano le persone e quindi insultano. Per non parlare poi del sempre più diffuso uso che si fa di cantanti, attori, vignettisti e magistrati che assurgono al ruolo di santoni per colmare, con i loro interventi, le lacune di una sinistra sbandata.
Poco importa se chi assume il ruolo di santone si arricchisce sfruttando anche l'ingenuità di chi li segue, tanto questi sono i capitalisti buoni.

venerdì 3 giugno 2011

Le occasioni perse. Ultime elezioni a Napoli: il mancato dibattito sul centro storico e sulle periferie.

Le occasioni perse. Ultime elezioni a Napoli: il mancato dibattito sul centro storico e sulle periferie.
Le ultime elezioni comunali hanno trascurato di affrontare temi importanti della città di Napoli. I candidati, immersi nella “monnezza” in tutti i sensi, non hanno inteso presentare proposte ai cittadini.
Le problematiche che affliggono il centro storico di Napoli sono in gran parte dovute ad un fenomeno comune a tante città di grandi dimensioni ed è un fenomeno che causa una lenta agonia di luoghi una volta pulsanti di vita, nei quali si svolgevano le attività più importanti della città, ma anche una vita di relazione che coinvolgeva tutti i ceti sociali.
Gli edifici che prima erano destinati ai più diversi tipi di abitanti vengono sempre di più adibiti ad uffici, centri commerciali, abitazioni di lusso.
Le popolazioni tendono prima ad allontanarsi dal centro per poi, con un’inversione di tendenza, a ritornare nei centri, ma non è più del popolo, ma solo la borghesia professionale. Nel migliore dei casi si assiste al tentativo di rendere i centri storici una sorta di museo a cielo aperto vissuto da turisti che si aggirano nei luoghi che una volta furono centri di vita comunitaria.
Napoli non sfugge a questo destino, con un’aggravante: coscientemente le amministrazioni hanno favorito l’allontanamento delle popolazioni dal centro verso le periferie, in luoghi dove è dispersa la ricchezza dei rapporti tra gli individui che caratterizzava gli abitanti del centro storico della città.
Con la perdita della ricchezza dei rapporti si è dato un grosso contributo alla creazione di generazioni di giovani che hanno smarrito qualsiasi punto di riferimento tradizionale. I giovani cresciuti all’interno dei quartieri periferici hanno creato nuovi modelli ai quali richiamarsi, modelli che, purtroppo, in molti casi, hanno forgiato giovani e spietati camorristi, attratti da facili guadagni e da una vita con regole alternative che si contrappongono a quelle ufficiali.
Il Centro storico di Napoli è stato quindi spogliato di gran parte della sua popolazione la quale, lasciando i luoghi nei quali ha vissuto, ha favorito due fenomeni che procedono di pari passo: la creazione di periferie abbandonate e la trasformazione del centro storico in un luogo che possiamo definire “periferia centrale”.
L’allontanamento di molta popolazione dal centro storico di Napoli verso le periferie e verso il suo interland, ha creato molte difficoltà soprattutto nei comuni contermini che si sono trovati a fronteggiare un aumento della popolazione e quindi del bisogno abitativo al quale si è risposto con un’urbanizzazione molte volte selvaggia, senza un coerente sviluppo del territorio e con un consumo di suolo eccessivo rispetto a quello che si sarebbe ottenuto con una più oculata politica insediativa.
Più opportuno, invece, sarebbe stato impedire la desertificazione del centro storico e favorire il restauro delle abitazioni e, dove possibile, la rottamazione degli edifici senza pregio artistico, architettonico o storico. Naturalmente ciò non avrebbe esclusa l’espansione all’esterno del centro storico e nei comuni vicini, ma tutto ciò sarebbe stato certamente più semplice se ci fosse stata una risposta adeguata da parte di un’autorità, quale la Provincia, che per tempo avesse definito il piano territoriale di coordinamento, il PTCP. Questo strumento molto importante potrebbe consentire di regolare gli insediamenti abitativi in modo certamente più coerente con un armonico piano di sviluppo dell’intero territorio di quanto possa fare ogni singola realtà comunale.
Le problematiche connesse del centro storico e delle periferie, esaltano la necessità di avere un’autorità in grado di gestirle in maniera complessa, superando gli stretti confini comunali, perché le sorti del centro storico della città di Napoli si legano a quelle delle periferie e a quelle dei comuni dell’intero territorio provinciale.
La difficoltà nel gestire problematiche insediative in luoghi che sono periferici rispetto alla città, ma in realtà inserite in un tessuto urbano continuo, si evidenziano soprattutto nella incapacità di gestire molte funzioni e che si traducono sostanzialmente nella incapacità, ma anche impossibilità, di una adeguata pianificazione urbanistica.
Il tema della pianificazione urbanistica nelle periferie napoletane, imporrebbe l’uso di strumentazioni urbanistiche sovra comunali che autorità sovraordinate potrebbero adottare sulla base del principio di sussidiarietà.
Ma l’assenza di idee e proposte è evidente a tutti!

lunedì 30 maggio 2011

Napoli: la sconfitta della politica

Napoli: la sconfitta della politica.


Tra poche ore si concluderanno le operazioni elettorali per il rinnovo della compagine amministrativa napoletana, ma già adesso possiamo individuare un sicuro sconfillo: la politica.


Il dibatito elettorale è stato caratterizzato da uno scontro senza precedenti tra i contendenti la poltrona di palazzo san Giacomo e che ha oscurato qualsiasi tema su cui confrontarsi se si esclude la "monnezza.


In qualsiasi città "normale" delle dimensioni del capoluogo partenopeo, il tema della monnezza non avrebbe potuto trovare spazio, ma al contrario si sarebbe parlato di ben altro.


Non ho sentito parola seria sulle periferie, sul centro storico, sul porto e le prospettive di un suo sviluppo che, nonostante tutto, avviene per un incontrollato aumento del traffico sia crocieristico, sia commerciale; nessuna parola sull'aereoporto, sull'assetto urbanistico ecc. ecc.


Lo sbando in cui si trova il centrosinistra costretta ad aggrapparsi a De Magistris, fa il paio con l'assenza di una opposizione alla Regione ed alla Provincia.

La classe dirigente del centrodestra, poi, ha vantato vittorie elettorali che erano dovute esclusivamente all'effetto trascinante di Berlusconi, ed oggi mostra tutti i suoi limiti e tutte le sue incapacità.

Il centrodestra napoletano, invece di proporsi come reale soggetto per il cambiamento, si è preoccupato solo di gestire una politica di inciuci con le sbandate truppe bassoliniane.

E Napoli muore......

venerdì 27 maggio 2011

Elezioni a Napoli. La Città metropolitana, la grande assente nei programmi e nei dibattiti

Elezioni a Napoli. La Città metropolitana, la grande assente nei programmi e nei dibattiti


Il dibattito prodotto negli ultimi anni sulle Città metropolitane non è nuovo, essendosi già da qualche tempo sviluppato sia in ambito europeo sia internazionale, ed è stato incentrato sulle problematiche connesse ai poteri che interagiscono su un territorio caratterizzato dalle dimensioni di alcuni centri urbani che si sono estese, in molti casi, raggiungendo anche quelle caratteristiche di una metropoli. La constatazione dell’esistenza di nuove realtà molto urbanizzate ha favorito la ricerca di strumenti giuridici che offrono soluzioni adatte sia al governo delle aree vaste sia, in particolare, di quelle definite “metropolitane”.



L’idea di Città metropolitana così com’è prevista dall’ordinamento italiano e alla luce dei principi di differenziazione e adeguatezza inseriti nella Costituzione dalla riforma del 2001, permette di differenziare gli ordinamenti delle realtà urbane di maggiori dimensioni, perché si tratta di realtà con una complessità funzionale propria delle grandi città, e al tempo stesso di adeguare alla dimensione territoriale, demografica e organizzativa la gestione d’efficaci politiche d’area vasta.



È da precisare che la Costituzione non intende la Città metropolitana come un nuovo ente che s’interpone tra il Comune e la Provincia, infatti, la definizione dell’ente in questione è contenuta nel Testo Unico sull’ordinamento delle autonomie locali ( D.lgs. n. 267/00) che esclude tale possibilità. Questa condizione era già chiarita nella legge 142/90, poi trasfusa nello stesso T.U., che aveva definito ambiti precisi all’interno dei quali fare delle scelte.



La necessità di prevedere un ente metropolitano, nasce anche dalla constatazione che la vita urbana è modificata ed è superato il classico concetto di comune inteso nel senso primitivo del termine, quindi di comunità che si ritrova in un centro abitato. Come tutte le grandi città metropolitane, anche Napoli, ha una tendenza a diminuire di popolazione residente, anche se in maniera più contenuta rispetto ad altre realtà. In ogni caso la popolazione della città diminuisce in rapporto all’incremento della popolazione residente nella provincia. Negli ultimi cinquanta anni, infatti, la popolazione della città, che prima rappresentava la metà dell’intera provincia, è scesa ad un terzo. Pur tuttavia, la maggior parte delle attività resta incentrata nel capoluogo e ciò favorisce un quotidiano spostamento di migliaia di persone dalla provincia alla città capoluogo. Napoli dà sempre più l’impressione di svuotarsi di notte per essere di nuovo affollata di giorno. Una volta, negli stessi spazi si svolgeva la maggior parte delle attività e in quei luoghi si racchiudevano le relazioni sociali dei cittadini. Oggi, invece, le relazioni sociali sono mutate, i rapporti non insistono più in quella sfera che era rappresentata dal quartiere: il rapporto residenza/lavoro crea nuove articolazioni sociali che si estendono su di un territorio ben più vasto di quello una volta circoscritto nelle mura della città.



L’istituzione della Città metropolitana risponde quindi ad esigenze non soltanto di formalità giuridica, ma soprattutto attuali e sostanziali. La Città metropolitana, superando i confini dell’attuale comune di Napoli, dovrà contribuire a creare un nuovo assetto d’interessi che s’irradiano nel territorio circostante.



La Città metropolitana esprime la sua potenzialità nella capacità di adeguarsi a un ambiente differenziato, assumendo compiti che si adattano alla soluzione dei problemi d’organizzazione dei servizi dei Comuni compresi nell’area e, soprattutto, ai problemi di pianificazione urbanistica di Napoli che non riesce oggi a gestire in maniera ottimale infrastrutture che vanno dimensionate ad una cittadinanza che di numero supera quella dei residenti.



Napoli, per la particolare caratteristica del suo territorio e del suo interland, rappresenta certamente la città che più d’ogni altra risponde alla tipologia di Città metropolitana. Basti pensare all’altissima densità di popolazione che si concentra nei 92 comuni della sua provincia e alla circostanza che ben tre dei comuni della provincia napoletana figurano nella graduatoria delle prime 60 città italiane, tutte capoluoghi di provincia.



Napoli, inoltre, rappresenta la città sede di lavoro di molti residenti della provincia e non esiste un confine naturale che la distanzi dai comuni limitrofi. La costituzione della Città metropolitana può rappresentare anche per le periferie un inizio di soluzione al loro drammatico isolamento. Le periferie, infatti, sono luoghi marginali rispetto al centro della città, ma non rispetto all’ambiente urbanizzato circostante. Un’autorità metropolitana, in grado di poter operare su di un livello più vasto, può definire insediamenti residenziali e produttivi tali da ottimizzare gli spazi. Una grande città, in grado di poter coinvolgere tutto il territorio che ad esso fa riferimento, potrà rendere la città più competitiva e più in grado di affrontare le sfide internazionali.



Per istituire la Città metropolitana, è necessario, innanzi tutto, definirne l'Area, fissandone i confini e definendone le funzioni amministrative che dovranno essere messe in comune tra gli enti che la compongono e che vi rientrano. Nel caso specifico dell'Area di Napoli, occorre aver ben presente che il capoluogo è ormai parte integrante di un’estesa conurbazione che si estende su più province. In questa conurbazione si registrano indici di densità abitativa e d’uso del territorio tra i più alti del mondo, come già abbiamo rilevato. Si ritrovano, inoltre, pesanti problemi economici, carenze nelle strutture e nei servizi, gravi problemi d’ordine sociale. Tutti questi problemi possono essere affrontati solo avendo una visione più ampia del territorio e possono essere gestiti meglio da un’autorità metropolitana che da tante singole realtà locali.



Il percorso per arrivare alla costituzione della Città metropolitana può essere anche successivo ed a tappe. È possibile, infatti, ipotizzare una fase intermedia nella quale si prevede che per alcuni comuni, quelli maggiormente interessati, siano previste forme associate per l’esercizio di alcune funzioni. Possiamo ipotizzare, ad esempio, le funzioni inerenti al commercio, ai trasporti, alla viabilità, all’urbanistica e alla polizia locale. In questo contesto la Provincia potrebbe assumere il compito di coordinare tali attività e di esercitare direttamente alcune di esse in ossequio al principio di sussidiarietà., previsto dalla Costituzione, laddove è necessario assicurare un “esercizio unitario della funzione” (art. 118 cost.)