mercoledì 30 maggio 2012

"Carissimi" Alfano, Bersani e Casini, siamo alle solite

"Carissimi" Alfano, Bersani e Casini, siamo alle solite, il "vostro" governo di grandi professori, ha trovato una soluzione al finanziamento delle risorse necessarie per fronteggiare l'emergenza terremoto: Tasse, aumento della benzina! E sì che bisognava essere proprio dei professori per trovare la soluzione, voi, ignoranti, non eravate ancora arrivati a trovare soluzioni così efficaci! Ma che importa che l'aumento della benzina colpirà le fasce più deboli della popolazione! Proprio così, la benzina comporterà un aumento delle spese di trasporto e quindi del prezzo di tutti quei generi voluminosi, ma poveri: Pane, pasta, frutta ed ortaggi. Grazie, perché così i tanti pensionati, famiglie numerose, disoccupati, cassaintegrati, daranno il loro contributo per il terremoto!!! Grazie perché così, mangiando di meno, eviteranno problemi di obesità....grazie, grazie a voi Alfano, Bersani e Casini, grazie per il vostro sostegno a chi pensa in modo così opportuno a come risolvere i problemi del terremoto ed ai problemi di salute di tanta gente diseredata che,altrimenti, potrebbero andare incontro all'obesità ed alle tante malattie connesse!!! Grazie poi, perché la gente non avrebbe apprezzato se, magari, invece di consentire l'aumentare la benzina, e quindi l'aumento del prezzo dei generi di prima necessità, aveste proposto, ad esempio, la tassazione di un 10% percento degli emolumenti percepiti da tutti i politici. No no, la gente più debole, povera, già affamata di suo, non avrebbe potuto capire perché solo lei doveva essere esentata dal contribuire alla risoluzione del problema terremoto, lasciando agli odiati politici tutto l'onore!!!!! GRAZIE ABC del XXXXX!!!!

mercoledì 23 maggio 2012

Caro Angelino Alfano

Caro Angelino, quando ti sei insediato, promettesti grandi cose, soprattutto la creazione finalmente di un partito. Ti sei vantato di ben un milione di tesserati, ma non ti sei curato di vedere come queste tessere venissero acquisite. Mandrie di dinosauri hanno scorrazzato nella giurassica savana alla ricerca di tessere......e quindi.....molte tessere pochi voti!!! Poi promettesti l'addio ai doppi incarichi, cosa buona e giusta e........sai come diciamo qui a Napoli? Non ti hanno cagato proprio!!! Qui, infatti, gli incarichi sono rimasti ed anche i tripli se è per questo. La cosa più bella poi, è il tuo patetico tentativo di presentare un partito di governo e di lotta......nunn' è cosa toia!!!! Hai consentito un governo retto dal maggiordomo del potere più schifoso: quello dei soldi, quello dei signori della finanza che se ne strafottono dei reali bisogni della gente!
Ma il meglio doveva ancora arrivare: il più grande spettacolo dopo il big bang, la sorpresona......MA ADDO' STA? IL BIG BANG è arrivato e tu stai ancora a pensa'!!!! Sai che c'è di nuovo invece? Che ci siamo stancati e, se le cose continuano così, ti lasciamo al tuo partito delle tessere e dei dinosauri! Statt bbuon! Un illuso

giovedì 3 maggio 2012

La sussidiarietà e le province, contraddizioni a livello Europeo

Si legge sulla stampa in questi giorni, di presunte indicazioni date da alcune istituzioni europee tendenti all’abolizione delle Province. Eppure, a voler approfondire la questione, se tali indicazioni dovessero essere vere, risulterebbero in contrasto con quanto proprio l’Europa ha fino ad ora cercato di imprimere ai paesi membri. Ci riferiamo all’affermazione del principio di sussidiarietà che ha trovato nei trattati europei i primi riconoscimenti, per poi essere introdotto nel nostro ordinamento prima con le leggi Bassanini e poi con la modifica della Costituzione. Ricordo ancora i tanti dibattiti che sull’argomento si sono sviluppati: il principi di sussidiarietà veniva servito in ogni salsa ed in ogni occasione. Quanti concorsi lo hanno avuto tra i temi da sviluppare quante le domande su tale argomento!. Ebbene, ma cosa s’intende con tale termine in realtà? E perché viene in rilievo a proposito delle Province? Etimologicamente, sussidiarietà ha un’origine latina, subsidium era il termine usato prevalentemente in ambiente militare che stava ad indicare la retroguardia pronta ad intervenire in aiuto alle coorti in prima acies. Propriamente significa “riserva di milizie”, offrire un aiuto solo in caso di necessità se coloro cui ricade di adempiere ad un dovere non sono in grado di farlo. Il termine ha poi avuto una sua più precisa definizione dalla filosofia per poi tradursi in concetti giuridici proprio grazie alle interpretazioni che ne sono state date a livello europeo, con riferimento prevalentemente alla sussidiarietà di tipo cosiddetta verticale, cioè la sussidiarietà che investe i poteri locali in una scala ascendente verso le istituzioni di livello superiore. L’attuale conformazione dei diversi livelli istituzionali italiani, a seguito della riforma costituzionale del 2001, ha fatto sì che l’assetto dei poteri sia, in un certo qual modo, rovesciato. La Costituzione del 1948, attribuiva il potere amministrativo sostanzialmente allo Stato che aveva la facoltà di decentrare lo stesso agli enti territoriali. Con il principio di sussidiarietà, tale organizzazione è stata sovvertita. La Costituzione oggi individua nell’ente comunale il livello più immediato e vicino al cittadino dal quale si parte per risalire ai livelli istituzionali territoriali che lo comprendono. Lo Stato o le Regioni, nell’apprezzare le esigenze di carattere unitario che di volta in volta possono consentire l’attribuzione delle funzioni, devono attenersi oltre che al principio di sussidiarietà anche a quello di differenziazione e d’adeguatezza, rispecchiando quanto già previsto nell’art. 4 della legge n. 59/97. Il principio di differenziazione permette l’attribuzione delle funzioni amministrative non sulla base della tipologia dell’ente, ma in conformità a considerazioni che riguardano la dimensione demografica, le risorse e la capacità d’organizzazione possedute dai livelli di governo locale. Il principio d’adeguatezza, inoltre, specifica ulteriormente il principio di differenziazione perché impone una valutazione tra la funzione da conferire e la capacità dei livelli di potere locale di assolvere con la dovuta efficacia ed efficienza alla stessa. Questi criteri coinvolgono le Province nel senso che l’attribuzione di funzioni amministrative alle stesse deve trovare giustificazione nell’esigenza di assicurarne l’esercizio unitario nell’ambito del territorio provinciale, così come l’attribuzione delle funzioni alle Regioni deve trovare giustificazione nell’esigenza di assicurarne l’esercizio unitario nell’ambito del territorio regionale e così via. Tali livelli assumono, dunque, un ruolo sussidiario, intendendo con ciò un ruolo che interviene laddove è necessario un esercizio unitario della funzione perché affermare che si parte dal Comune non significa che questo ultimo comprende tutte le funzioni. E’ evidente, infatti, che alcune di esse saranno svolte opportunamente dal livello comunale ma potranno verificarsi casi in cui altre potranno essere esercitate solo da un livello superiore. La Provincia, in questa “risalita” istituzionale, indiscutibilmente avrebbe dovuto assumere un ruolo principale abbandonando definitivamente quello tradizionale d’ente di decentramento statale. Le funzioni fondamentali, infatti, già le attribuiscono un particolare connotato che si arricchisce ulteriormente per il fatto di diventare l’ente privilegiato per il conferimento di funzioni soprattutto laddove s’incontrano problemi legati alla polverizzazione dei Comuni. L’ente avrebbe dovuto assume in questo modo un diverso ed importante ruolo che non è di sovraordinazione gerarchica ma sussidiario nei confronti del Comune. La sua posizione tra i livelli di governo locale, inoltre, si sarebbe dovuto fondare su competenze flessibili che il principio di sussidiarietà adatta al contesto istituzionale nel quale possono essere esercitate. La necessità di un ente in grado di intervenire nell’esercizio di una funzione in maniera unitaria è avvertita, come dicevamo, particolarmente in ambiti territoriali dove sono dislocate piccole realtà comunali. La Provincia si può porre nella condizione ideale per l’esercizio di determinate funzioni anche perché rappresenta il livello più adeguato per mezzi ed organizzazione. La posizione privilegiata della Provincia nel ruolo sussidiario ai Comuni è esaltata dalla considerazione che l’ordinamento attribuisce alle Regioni ed allo Stato compiti soprattutto legislativi e di programmazione. L’esercizio delle funzioni amministrative che non è possibile in ambito comunale, pertanto, può essere individuato nell’ente intermedio che potrà soddisfare esigenze avvertite dalla comunità che in questo caso va intesa come comunità provinciale. Un ente come la Provincia, sganciata dalla realtà metropolitana, per le eventuali istituzioni delle Città metropolitane, esercita più efficacemente il suo ruolo d’ente di secondo livello ed è in grado di promuovere e coordinare attività nonché di realizzare opere d’interesse sovracomunale sia nel settore economico, produttivo, commerciale e turistico, sia in quello sociale, culturale e sportivo, coerentemente con le previsioni di legge. La Costituzione riformata aveva rinnovato la fiducia alla Provincia garantendole l’esistenza a dispetto di chi sosteneva una sua inutilità. Il principio di sussidiarietà, con i principi di differenziazione ed adeguatezza giustificano ed impongono la presenza della Provincia tra gli enti locali. Ciò non esclude che in un futuro l’opportunità di un regime giuridico differenziato tra le Province che tenga conto sia di una diversa disciplina dell’organizzazione basata sull’entità delle funzioni amministrative attribuite alle diverse realtà provinciali, sia dell’attuazione delle Città metropolitane, cosa quest’ultima che necessariamente comporterebbe un ridisegno complessivo dei poteri locali. Le riforme che si sono succedute nel corso degli ultimi anni, comunque, hanno già creato un quadro policentrico che si fonda sul valore democratico del riconoscimento delle comunità locali. Queste vanno intese come comunità che s’identificano in un contesto comunale, provinciale e regionale tali da essere considerate come un sistema che, ai vari livelli, è sussidiario allo stesso cittadino. Il rafforzamento del livello provinciale mette in condizioni di operare scelte di area vasta sul piano della programmazione e della gestione delle funzioni e dei servizi, andando oltre le possibilità che il singolo Comune può garantire. La Provincia diviene, infatti, il naturale ricevente delle nuove funzioni e dei nuovi compiti amministrativi che sempre di più si “avvicinano” ai cittadini. Tale processo è vero non solo per il livello tipicamente provinciale, ma anche comunale, laddove quest’ultimo, non avendo attuato processi d’aggregazione e risultando quindi inadeguato, sopperisce alle deficienze organizzative facendosi “aiutare” dalla Provincia. L’ente, in questo contesto dovrebbe essere coinvolto anche nel processo d’aggregazione dei comuni perché i compiti di programmazione e di coordinamento di sua competenza richiedono all’interno del suo territorio enti dotati di sufficienti risorse, in mancanza, la legislazione vigente prevede che, anche in via interinale, la Provincia eserciti le funzioni e i compiti destinati ai Comuni.

martedì 4 ottobre 2011

La sentenza di Perugia: alcune considerazioni.

Non ho intenzione di entrare nel merito della vicenda, e schierarmi tra innocentisti o colpevolisti, ma alcune brevi considerazioni sulla condotta tenuta dai magistrati dell'accusa voglio farle.
E' mai possibile che vengano condotte indagini basandosi su prove scientifiche che crollano al primo riscontro obiettivo?
E' mai possibile che, di fronte a prove che si sono rivelate non attendibili, la pubblica accusa non trovi di meglio che dire nella requisitoria che ci sono i parenti della vittima che attendono giustizia? Ma la giustizia è trovare i colpevoli o comunque qualcuno da condannare?
E' mai possibile che la vita di noi cittadini debba essere nelle mani di magistrati preoccupati più di apparire che di essere?
Per la ingiusta detenzione causata dal pressappochismo di questi magistrati pagherà lo Stato italiano e quindi tutti noi. Loro, intanto, continueranno nella loro carriera sicuri che nessuno li disturberà.

venerdì 8 luglio 2011

Le Province sono diventate il capro espiatorio per gli sprechi di tutte le amministrazioni pubbliche


Alcune riflessioni sono necessarie a seguito della polemica che si è sviluppata sull’opportunità di abolire le Province nel nostro ordinamento. Certo, gli esempi di amministrazione delle Province che ultimamente abbiamo sotto gli occhi, farebbero decisamente propendere per una loro abolizione.
In realtà, le Province, dall’avvento delle regioni in poi, sono state viste come enti in grado di poter solo assorbire risorse che, se mal utilizzate, si trasformano in sprechi. Ma, a confutare tale tesi, la disciplina dell’attribuzione di nuove funzioni alla Provincia segna il tracciarsi del nuovo ruolo che l’ente assume se è vero che su 34 materie per le quali era previsto il decentramento dalla legge 59/97, in ben 27 erano previste competenze per la Provincia. Il compito più importante è comunque costituito dall’attività di programmazione, e dunque, dalla concertazione e dal coordinamento, che gli consente di assumere anche una capacità di stimolo dell’azione programmatoria regionale, aggregando e coordinando le proposte avanzate dagli enti locali. È evidente che nel nuovo sistema delle autonomie territoriali fondato sul principio di cooperazione, la programmazione provinciale deve operare rispettando il principio di sussidiarietà in senso verticale e orizzontale quindi sia i vari livelli istituzionali sia i privati che sono tutti coinvolti.
La riforma costituzionale del 2001 ha previsto l’introduzione nell’ordinamento della Città metropolitana e la conseguente distinzione delle Province che potranno avere un senso solo in territori caratterizzati dalla presenza di piccoli comuni che da soli non sono in grado di gestire funzioni importanti. Tale soluzione non si adatta, invece, a territori molto urbanizzati con un capoluogo che assume un peso notevole nella più generale gestione dell’area, come appunto nel caso della provincia napoletana. In queste aree è possibile creare l’autorità definita Città metropolitana che assume in sé le funzioni della provincia e gran parte delle funzioni dei comuni.
La necessità di avere un Ente metropolitano forte, nasce anche dalla considerazione che la globalizzazione sta provocando trasformazioni che si riflettono in una sempre più crescente competitività dei territori. Nella realtà quotidiana, a causa di questo nuovo modo di rapportarsi con il mondo, si percepisce il bisogno di un diverso ruolo delle realtà territoriali. Le tendenze che vedono la creazione di sistemi che, travalicando il singolo Stato, provocano processi di standardizzazione anche degli stili di vita, costituiscono un superamento del sistema economico fondato sulla sola figura dello Stato. Questo, infatti, è sempre meno capace di dare risposte in grado di incidere in termini di sviluppo e ciò provoca la formazione di un sistema di culture politiche territoriali che reagiscono all’omologazione. Ciò favorisce lo sviluppo di una coscienza locale che, sentendosi partecipe di un nuovo modello di sviluppo, acquista voce per affermare il proprio ruolo economico, ma anche politico.
Il territorio oggi non è più considerato esclusivamente nella sua dimensione spaziale, ma è visto artefice della produzione e della conoscenza. E’ dal territorio che provengono le sfide più importanti che fanno rivalutare e riscoprire una cultura locale che cerca di affermare una propria identità. Ciò sta portando a un’esaltazione delle differenze in contrapposizione all’omologazione che il modello globalizzante cerca di imporre. È necessario, pertanto, affrontare una sfida mondiale dando un’evidenza maggiore alle realtà locali, esaltandone le differenze; occorrono istituzioni che le rappresentino e che, organizzate adeguatamente, siano in grado di affrontare il confronto internazionale e più da vicino i problemi locali.
Oggi il concetto di comunità locale tende ad essere modificato perché non esiste solo una concezione legata allo spazio territoriale definito in termini passivi, il concetto va integrato anche in termini attivi, intendendo con essi le interazioni sociospaziali cioè quelle interazioni che si sviluppano tra soggetti localizzati.
Gli insediamenti residenziali e produttivi, le infrastrutture (specialmente quelle destinate alla mobilità come strade, ferrovie, porti ecc.), caratterizzano molte superfici che sono marginali come i comuni che circondano la Città capoluogo e la campagna. Tali spazi, però, pur superando i confini amministrativi dei vari enti territoriali, rappresentano i luoghi nei quali s’intrecciano i rapporti e rendono ancora più evidente la ristrettezza di un governo delle trasformazioni urbanistiche circoscritto alla sola scala comunale. Le previsioni insediative o di destinazione dell’uso dei suoli, implicano, inoltre, l’orientamento al governo unitario d’area vasta, anche per garantire una qualità ambientale che è andata sempre più degradandosi non trovando adeguati livelli di governo del fenomeno.
In definitiva, le Province non andrebbero abolite, ma trasformate. Questi Enti intermedi dovrebbero assumere un ruolo solo nelle realtà territoriali caratterizzate dalla presenza di una forte concentrazione di piccoli comuni che da soli non sarebbero in grado di garantire funzioni che efficacemente diano azioni di sviluppo per il proprio territorio.
Nelle grandi città con i loro interland urbanizzati, dovrebbe essere create le Città metropolitana che assumerebbero tutte le funzioni della Provincia e del comuni. Purtroppo il discorso sembra essere oramai ancorato ad un tifo di tipo calcistico tra chi pretende l’eliminazione delle Province e chi, ostinatamente, cerca di mantenere una situazione che obiettivamente non può essere più mantenuta.
I risparmi di un’abolizione delle Province sarebbero certamente ridicoli, se si pensa che comunque le funzioni che vengono attualmente svolte non potrebbero anch’esse essere abolite e quindi necessitano di risorse per il loro esercizio, risorse nemmeno tanto insignificanti. Non dimentichiamo che oggi le Province svolgono funzioni afferenti a strade ed ad edilizia scolastica, per citare solo alcune storiche, ma anche quelle importantissime relative all’ambiente ed al mercato del lavoro, per dirne alcune delle più recentemente attribuite. Gli unici risparmi potrebbero essere quelli legati ai costi della politica, ma che in definitiva rappresenterebbero un misero risparmio .
Le province, paradossalmente rispetto a quanto oggi si dice, potrebbero garantire, invece, risparmi notevoli se solo si pensasse di attribuire ad esse tutte quelle funzioni che attualmente vengono svolte da una miriade di enti che insistono sullo stesso territorio, non ultimi, potrei arrivare a dire, anche le ASL. Eliminare tanti Consorzi, Comunità montane, associazioni di comuni, Autorità di bacino, Enti di più vario genere ed attribuire tutta la responsabilità delle competenze esercitate alla Provincia di riferimento. Questo comporterebbe sicuramente dei risparmi!!!
In definitiva le Province non vanno abolite, ma trasformate, prevedendo nel contempo anche un’opera di ottimizzazione che non può prescindere dall’eliminare Province con un numero basso di abitanti. Province con meno di 200.000 abitanti non hanno senso, per esempio, ma il limite potrebbe anche aumentare.
Insomma oggi le Province sono diventate il capro espiatorio che deve essere sacrificato per le responsabilità degli sprechi che in tutte le amministrazioni ci sono. Non è un modo serio di procedere.

giovedì 7 luglio 2011

A proposito di Province


La Provincia fu creata sostanzialmente per rispondere ad esigenze di razionalizzazione dell’apparato dello Stato, senza riferimento ad un’origine che la poteva in un certo qual modo ricollegare a quella del Comune. Ma anche questo ultimo ha, a sua volta, perso nel corso degli anni la sua naturale origine di luogo “comune” nel quale si ritrovava la comunità di cittadini e che la tradizione faceva risalire al medioevo. La Provincia, invece, è stata considerata come un ente che tornava utile perché già definita come circoscrizione statale e quindi idonea ad esercitare funzioni e servizi, ma i compiti che le erano attribuiti davano più l’impressione di rispondere a criteri di casualità che ad altro.
La Costituzione del 1948, con il riconoscimento del valore dell’autonomia, non contribuiva granché a dare una nuova dignità alla Provincia perché, prevedendo la creazione delle Regioni, ne metteva in crisi l’esistenza. L’attuazione del decentramento regionale e l’assimilazione da parte delle Regioni di compiti che erano svolti dalla Provincia (particolarmente in campo sanitario), sembravano dare ragione a chi considerava inutile l’esistenza di un ente casualmente presente nello scenario dei poteri locali. Poco serviva che i decreti di trasferimento di competenze dallo Stato alle Regioni ed agli altri enti locali attribuivano anche alla Provincia delle funzioni perché, anche in questo caso, non s’intravedeva alcun ruolo importante per l’ente.
Il legislatore ha dovuto, nonostante ciò, fare i conti con una diversa configurazione della realtà locale Italiana che sempre di più convertiva la sua semplice ed originaria struttura agricola in una fortemente urbanizzata con stimoli verso un’industrializzazione che farà assumere al paese, nel volgere di pochi anni, una posizione di primo piano. Le città diventavano sempre più grandi, sul territorio si disegnavano estese e fitte arterie di comunicazioni con collegamenti anche tra realtà piccole che in tal modo si aggregavano ai centri maggiori. Intere regioni, soprattutto del Nord, si configuravano in una galassia d’imprese produttive legate in maniera reticolare tra loro. Pur tuttavia, sebbene la tendenza sembrava portare alla creazione d’ampi spazi urbanizzati per la continua crescita delle città, il fenomeno della polverizzazione dei comuni non accennava a cambiare presentandosi, in pratica, immutato anche ai giorni nostri. È questo un problema che il legislatore si è posto nella consapevolezza che, di fronte alle esigenze moderne, le piccole realtà comunali disperse sul territorio non riescono a garantire efficacemente funzioni e servizi. Le difficoltà, infatti, nella gestione delle problematiche delle città milionarie (in termini demografici) e quelle dei Comuni piccoli, evidenziavano i limiti di una normativa che li regolava nello stesso modo.
Gli anni novanta, in questa situazione, hanno segnato una svolta. La legge n. 142/90, infatti, ha rappresentato per molti aspetti un’anticipazione di quel radicale nuovo modo di intendere l’esercizio della funzione pubblica (la legge ha anticipato principi di semplificazione, trasparenza, efficienza ed efficacia che riforme immediatamente successive hanno definito in maniera più compiuta), ma soprattutto rappresentava una codificazione di strumenti di gestione dell’azione amministrativa che erano la prova che l’uniformità stava definitivamente tramontando. La riforma (che a sua volta sarà riformata a più riprese per definirsi poi nell’attuale T.U. n. 267/2000) aveva fatto assumere una diversa prospettiva all’azione amministrativa riconoscendo l’autonomia statutaria e regolamentare agli enti locali e individuando funzioni e compiti che, in particolare per la Provincia, non potevano più essere considerati casuali, ma connotativi di quel determinato livello di governo: tra tutti ricordiamo il PTCP, piano territoriale di coordinamento provinciale, che oggi può assume un ruolo primario nell’ambito di un’attività di gestione del proprio livello territoriale, così come può essere considerato il piano regolatore generale per un Comune. La pianificazione territoriale si grava di nuovi ruoli perché il mercato aperto dell’economia crea, come abbiamo posto l’accento, una competizione fra luoghi intesi come localizzazioni potenziali per attività economiche. Si assiste ad una contrapposizione tra un sistema delle imprese sempre più interessate all’efficienza dei territori di riferimento e dei rapporti con le istituzioni presenti e, dall’altra, una popolazione portatrice d’esigenze di benessere collettivo e di vivibilità. La pianificazione fornisce strumenti d’intervento a carattere orizzontale ed intersettoriale in grado di contemperare le esigenze dello sviluppo con quelle dei cittadini. Ciò evidenzia una necessaria definizione del territorio organizzato che deve prescindere necessariamente dai confini comunali.
Il ruolo della Provincia - ente intermedio tra la Regione e il Comune - è confermato e garantito dalla riforma costituzionale con l’esplicito riconoscimento delle funzioni fondamentali e delle funzioni proprie, in altre parole di tutte quelle funzioni che, con i processi di decentramento degli ultimi anni, hanno definito la Provincia ente di governo d’area vasta in grado di rappresentare gli interessi generali della sua comunità territoriale e di coordinarne lo sviluppo locale. La Provincia ha preteso quindi di assumere un ruolo che oggi la Costituzione gli riconosce a pieno titolo: essere un ente esponenziale di una comunità non più ristretta nei confini comunali, ma che si estende all’area vasta nella quale la sua attività diviene prevalentemente sussidiaria a quella dei Comuni. Le ipotesi che possiamo formulare su come l’ente potrà evolvere nel futuro, devono necessariamente incontrarsi con l’attuazione delle Città metropolitane, argomento che ha suscitato tanti dibattiti dopo l’approvazione della legge n. 142/90 che le prevedeva, ma che nel corso degli ultimi anni sembra aver perso la sua attualità. In realtà le ragioni che indussero il legislatore a prevedere la loro istituzione sono ancora valide, al punto che la stessa riforma della Costituzione ha inteso garantire una copertura costituzionale alle stesse definendole, alla pari dei Comuni, delle Province e delle Regioni, enti costitutivi della Repubblica. Questo processo è necessario perché è solo con la definitiva distinzione sul territorio di un ente che abbia poteri differenziati dagli altri enti, ma adatti alla gestione delle problematiche delle aree metropolitane, è possibile individuare un ruolo diverso della Provincia, un ruolo sempre più adatto a gestire funzioni il cui esercizio necessita di un’unitarietà di azione in quelle aree caratterizzate da Comuni piccoli ed inadeguati allo scopo. Province e Città metropolitane hanno qualcosa d’affine, sono entrambe riferibili all’area vasta, comprendendo una molteplicità di Comuni.
Nelle Province, l'area vasta comprende un territorio solo parzialmente urbanizzato e cosparso di Comuni che possono essere medi o piccoli ma chiaramente riconoscibili come comunità distinte. Le Città metropolitane, invece, sono caratterizzate dalla conurbazione, in pratica un vasto territorio urbanizzato e integrato dove le comunità sono strutturalmente connesse sul piano delle infrastrutture, delle dinamiche sociali ed economiche, della identità culturale.
La Città metropolitana, alla luce dei principi di differenziazione e adeguatezza, rappresenta l'ordinamento che meglio può gestire le maggiori realtà urbane. L'articolo 118 Cost., primo comma, ci ricorda che all'interno delle Città metropolitane dovranno comunque seguitare ad esistere i Comuni che non saranno affatto identici per funzioni e competenze a quelli situati nei diversi contesti provinciali.
Una considerazione sugli aspetti di natura finanziaria deve essere fatta perché propedeutica a qualsiasi sviluppo dell’ipotesi che stiamo prospettando. La formazione o la trasformazione degli enti locali in Città metropolitane e nuove Province, intese queste ultime nel senso d’enti locali scorporati dal territorio della Città metropolitana e che assumono le funzioni sussidiarie, non dovrebbe rappresentare un nuovo costo per le finanze pubbliche. Questo riteniamo che sia possibile se contestualmente è prevista la razionalizzazione dell’esistente. Dobbiamo costatare, per l’appunto, che grandi differenze (in termini demografici) caratterizzano le Province nello stesso modo in cui esistono differenze tra i Comuni. Naturalmente parlare in termini di “razionalizzazione” non significa uniformare, si tornerebbe indietro, ma ottimizzare le risorse questo sì. La Provincia, infatti, dovrebbe garantire la volontà delle popolazioni amministrate di riconoscersi in enti che meglio le rappresentano, ma nello stesso tempo, opportunamente dovrebbe assumere tutte quelle funzioni o servizi che oggi s’individuano in capo ad una miriade d’istituzioni incaricate di gestire le funzioni d’area vasta.
Per iniziare in modo efficace questo processo probabilmente è necessaria una modifica costituzionale che affidi alle Regioni la responsabilità d’individuare i necessari processi aggregativi degli enti e delle istituzioni presenti sul proprio territorio. Così la Regione potrebbe affrontare meglio anche l’annoso problema dei disservizi e degli elevati costi derivanti dalla polverizzazione dei Comuni. L’ambito nel quale si possono ritrovare competenze per un ente d’area vasta è notevolmente ampio e si potrebbe ipotizzare, in una situazione di semplificazione e razionalizzazione, la soppressione di tutti quegli enti che in questo momento svolgono un’identica funzione sul territorio o, al contrario, riconoscere ad alcuni di essi la dignità del livello istituzionale di Provincia con propri compiti differenziati. Ci riferiamo alle Comunità montane, alle Unioni di comuni e di isole e alle varie forme di gestione di funzioni di area vasta che abbiamo analizzato. Con questo processo si potrebbe dare un senso più preciso alla previsione contenuta nell’art. 118 Cost., rendendone concretamente attuabili i principi in esso contenuti.
Queste valutazioni non inducono necessariamente a prevedere che le Province debbano essere dappertutto ed in ogni Regione. Già le considerazioni svolte sulla Città metropolitana, infatti, escluderebbero la compresenza in ogni caso dei due enti, Comune (così come inteso adesso) e Provincia, su uno stesso territorio. Dovrebbero, inoltre, escludersi la presenza delle Province in almeno due altri casi: per la Capitale che, come pure è stato formulato in ipotesi, dovrebbe assumere la caratteristica di un ente nel quale si assommano le funzioni del Comune, della Provincia e della Regione, e per quelle Regioni nelle quali (soprattutto per il ridotto dato demografico) le funzioni della Provincia potrebbero, anzi dovrebbero, essere svolte dalla stessa Regione. La riduzione dei costi sarebbe così evidente, ma non andrebbe a scapito di un’efficiente ed efficace azione di governo del territorio.
Le prospettive per un ruolo moderno e dinamico svolto dalle Province quindi ci sono tutte, anche se ancora resistenze si registrano nel dare fiducia ad un ente che per lunghi anni è stato dimenticato. Il processo di riforma dei poteri locali, sebbene con lentezza e ripensamenti, in ogni caso continua nel suo percorso e sempre di più sembra andare nella direzione di assegnare una dignità che non sia solo formale al ruolo della Provincia.

venerdì 10 giugno 2011

Discutere di politica diventa sempre più difficile

Oramai discutere di politica diventa sempre più difficile.
Se non si parla contro Berlusconi si è considerati servi. Se non ci si esalta davanti a buffoni millionari che pretendono di imporre il loro pensiero a tutti, si viene aggrediti verbalmente ( e non solo). Se si cerca di ragionare in maniera seria, e non secondo la vulgata propagandistica, si viene derisi perchè considerati menomati.
La sinistra è sempre più incapace di avere un leader ed un programma comune, e quindi di rappresentare una reale alternativa di goveno.
Sempre più gli esponenti della sinistra, ma anche i semplici simpatizzanti, sono incapaci di discutere serenamente su temi concreti che interessano le persone e quindi insultano. Per non parlare poi del sempre più diffuso uso che si fa di cantanti, attori, vignettisti e magistrati che assurgono al ruolo di santoni per colmare, con i loro interventi, le lacune di una sinistra sbandata.
Poco importa se chi assume il ruolo di santone si arricchisce sfruttando anche l'ingenuità di chi li segue, tanto questi sono i capitalisti buoni.