giovedì 7 luglio 2011

A proposito di Province


La Provincia fu creata sostanzialmente per rispondere ad esigenze di razionalizzazione dell’apparato dello Stato, senza riferimento ad un’origine che la poteva in un certo qual modo ricollegare a quella del Comune. Ma anche questo ultimo ha, a sua volta, perso nel corso degli anni la sua naturale origine di luogo “comune” nel quale si ritrovava la comunità di cittadini e che la tradizione faceva risalire al medioevo. La Provincia, invece, è stata considerata come un ente che tornava utile perché già definita come circoscrizione statale e quindi idonea ad esercitare funzioni e servizi, ma i compiti che le erano attribuiti davano più l’impressione di rispondere a criteri di casualità che ad altro.
La Costituzione del 1948, con il riconoscimento del valore dell’autonomia, non contribuiva granché a dare una nuova dignità alla Provincia perché, prevedendo la creazione delle Regioni, ne metteva in crisi l’esistenza. L’attuazione del decentramento regionale e l’assimilazione da parte delle Regioni di compiti che erano svolti dalla Provincia (particolarmente in campo sanitario), sembravano dare ragione a chi considerava inutile l’esistenza di un ente casualmente presente nello scenario dei poteri locali. Poco serviva che i decreti di trasferimento di competenze dallo Stato alle Regioni ed agli altri enti locali attribuivano anche alla Provincia delle funzioni perché, anche in questo caso, non s’intravedeva alcun ruolo importante per l’ente.
Il legislatore ha dovuto, nonostante ciò, fare i conti con una diversa configurazione della realtà locale Italiana che sempre di più convertiva la sua semplice ed originaria struttura agricola in una fortemente urbanizzata con stimoli verso un’industrializzazione che farà assumere al paese, nel volgere di pochi anni, una posizione di primo piano. Le città diventavano sempre più grandi, sul territorio si disegnavano estese e fitte arterie di comunicazioni con collegamenti anche tra realtà piccole che in tal modo si aggregavano ai centri maggiori. Intere regioni, soprattutto del Nord, si configuravano in una galassia d’imprese produttive legate in maniera reticolare tra loro. Pur tuttavia, sebbene la tendenza sembrava portare alla creazione d’ampi spazi urbanizzati per la continua crescita delle città, il fenomeno della polverizzazione dei comuni non accennava a cambiare presentandosi, in pratica, immutato anche ai giorni nostri. È questo un problema che il legislatore si è posto nella consapevolezza che, di fronte alle esigenze moderne, le piccole realtà comunali disperse sul territorio non riescono a garantire efficacemente funzioni e servizi. Le difficoltà, infatti, nella gestione delle problematiche delle città milionarie (in termini demografici) e quelle dei Comuni piccoli, evidenziavano i limiti di una normativa che li regolava nello stesso modo.
Gli anni novanta, in questa situazione, hanno segnato una svolta. La legge n. 142/90, infatti, ha rappresentato per molti aspetti un’anticipazione di quel radicale nuovo modo di intendere l’esercizio della funzione pubblica (la legge ha anticipato principi di semplificazione, trasparenza, efficienza ed efficacia che riforme immediatamente successive hanno definito in maniera più compiuta), ma soprattutto rappresentava una codificazione di strumenti di gestione dell’azione amministrativa che erano la prova che l’uniformità stava definitivamente tramontando. La riforma (che a sua volta sarà riformata a più riprese per definirsi poi nell’attuale T.U. n. 267/2000) aveva fatto assumere una diversa prospettiva all’azione amministrativa riconoscendo l’autonomia statutaria e regolamentare agli enti locali e individuando funzioni e compiti che, in particolare per la Provincia, non potevano più essere considerati casuali, ma connotativi di quel determinato livello di governo: tra tutti ricordiamo il PTCP, piano territoriale di coordinamento provinciale, che oggi può assume un ruolo primario nell’ambito di un’attività di gestione del proprio livello territoriale, così come può essere considerato il piano regolatore generale per un Comune. La pianificazione territoriale si grava di nuovi ruoli perché il mercato aperto dell’economia crea, come abbiamo posto l’accento, una competizione fra luoghi intesi come localizzazioni potenziali per attività economiche. Si assiste ad una contrapposizione tra un sistema delle imprese sempre più interessate all’efficienza dei territori di riferimento e dei rapporti con le istituzioni presenti e, dall’altra, una popolazione portatrice d’esigenze di benessere collettivo e di vivibilità. La pianificazione fornisce strumenti d’intervento a carattere orizzontale ed intersettoriale in grado di contemperare le esigenze dello sviluppo con quelle dei cittadini. Ciò evidenzia una necessaria definizione del territorio organizzato che deve prescindere necessariamente dai confini comunali.
Il ruolo della Provincia - ente intermedio tra la Regione e il Comune - è confermato e garantito dalla riforma costituzionale con l’esplicito riconoscimento delle funzioni fondamentali e delle funzioni proprie, in altre parole di tutte quelle funzioni che, con i processi di decentramento degli ultimi anni, hanno definito la Provincia ente di governo d’area vasta in grado di rappresentare gli interessi generali della sua comunità territoriale e di coordinarne lo sviluppo locale. La Provincia ha preteso quindi di assumere un ruolo che oggi la Costituzione gli riconosce a pieno titolo: essere un ente esponenziale di una comunità non più ristretta nei confini comunali, ma che si estende all’area vasta nella quale la sua attività diviene prevalentemente sussidiaria a quella dei Comuni. Le ipotesi che possiamo formulare su come l’ente potrà evolvere nel futuro, devono necessariamente incontrarsi con l’attuazione delle Città metropolitane, argomento che ha suscitato tanti dibattiti dopo l’approvazione della legge n. 142/90 che le prevedeva, ma che nel corso degli ultimi anni sembra aver perso la sua attualità. In realtà le ragioni che indussero il legislatore a prevedere la loro istituzione sono ancora valide, al punto che la stessa riforma della Costituzione ha inteso garantire una copertura costituzionale alle stesse definendole, alla pari dei Comuni, delle Province e delle Regioni, enti costitutivi della Repubblica. Questo processo è necessario perché è solo con la definitiva distinzione sul territorio di un ente che abbia poteri differenziati dagli altri enti, ma adatti alla gestione delle problematiche delle aree metropolitane, è possibile individuare un ruolo diverso della Provincia, un ruolo sempre più adatto a gestire funzioni il cui esercizio necessita di un’unitarietà di azione in quelle aree caratterizzate da Comuni piccoli ed inadeguati allo scopo. Province e Città metropolitane hanno qualcosa d’affine, sono entrambe riferibili all’area vasta, comprendendo una molteplicità di Comuni.
Nelle Province, l'area vasta comprende un territorio solo parzialmente urbanizzato e cosparso di Comuni che possono essere medi o piccoli ma chiaramente riconoscibili come comunità distinte. Le Città metropolitane, invece, sono caratterizzate dalla conurbazione, in pratica un vasto territorio urbanizzato e integrato dove le comunità sono strutturalmente connesse sul piano delle infrastrutture, delle dinamiche sociali ed economiche, della identità culturale.
La Città metropolitana, alla luce dei principi di differenziazione e adeguatezza, rappresenta l'ordinamento che meglio può gestire le maggiori realtà urbane. L'articolo 118 Cost., primo comma, ci ricorda che all'interno delle Città metropolitane dovranno comunque seguitare ad esistere i Comuni che non saranno affatto identici per funzioni e competenze a quelli situati nei diversi contesti provinciali.
Una considerazione sugli aspetti di natura finanziaria deve essere fatta perché propedeutica a qualsiasi sviluppo dell’ipotesi che stiamo prospettando. La formazione o la trasformazione degli enti locali in Città metropolitane e nuove Province, intese queste ultime nel senso d’enti locali scorporati dal territorio della Città metropolitana e che assumono le funzioni sussidiarie, non dovrebbe rappresentare un nuovo costo per le finanze pubbliche. Questo riteniamo che sia possibile se contestualmente è prevista la razionalizzazione dell’esistente. Dobbiamo costatare, per l’appunto, che grandi differenze (in termini demografici) caratterizzano le Province nello stesso modo in cui esistono differenze tra i Comuni. Naturalmente parlare in termini di “razionalizzazione” non significa uniformare, si tornerebbe indietro, ma ottimizzare le risorse questo sì. La Provincia, infatti, dovrebbe garantire la volontà delle popolazioni amministrate di riconoscersi in enti che meglio le rappresentano, ma nello stesso tempo, opportunamente dovrebbe assumere tutte quelle funzioni o servizi che oggi s’individuano in capo ad una miriade d’istituzioni incaricate di gestire le funzioni d’area vasta.
Per iniziare in modo efficace questo processo probabilmente è necessaria una modifica costituzionale che affidi alle Regioni la responsabilità d’individuare i necessari processi aggregativi degli enti e delle istituzioni presenti sul proprio territorio. Così la Regione potrebbe affrontare meglio anche l’annoso problema dei disservizi e degli elevati costi derivanti dalla polverizzazione dei Comuni. L’ambito nel quale si possono ritrovare competenze per un ente d’area vasta è notevolmente ampio e si potrebbe ipotizzare, in una situazione di semplificazione e razionalizzazione, la soppressione di tutti quegli enti che in questo momento svolgono un’identica funzione sul territorio o, al contrario, riconoscere ad alcuni di essi la dignità del livello istituzionale di Provincia con propri compiti differenziati. Ci riferiamo alle Comunità montane, alle Unioni di comuni e di isole e alle varie forme di gestione di funzioni di area vasta che abbiamo analizzato. Con questo processo si potrebbe dare un senso più preciso alla previsione contenuta nell’art. 118 Cost., rendendone concretamente attuabili i principi in esso contenuti.
Queste valutazioni non inducono necessariamente a prevedere che le Province debbano essere dappertutto ed in ogni Regione. Già le considerazioni svolte sulla Città metropolitana, infatti, escluderebbero la compresenza in ogni caso dei due enti, Comune (così come inteso adesso) e Provincia, su uno stesso territorio. Dovrebbero, inoltre, escludersi la presenza delle Province in almeno due altri casi: per la Capitale che, come pure è stato formulato in ipotesi, dovrebbe assumere la caratteristica di un ente nel quale si assommano le funzioni del Comune, della Provincia e della Regione, e per quelle Regioni nelle quali (soprattutto per il ridotto dato demografico) le funzioni della Provincia potrebbero, anzi dovrebbero, essere svolte dalla stessa Regione. La riduzione dei costi sarebbe così evidente, ma non andrebbe a scapito di un’efficiente ed efficace azione di governo del territorio.
Le prospettive per un ruolo moderno e dinamico svolto dalle Province quindi ci sono tutte, anche se ancora resistenze si registrano nel dare fiducia ad un ente che per lunghi anni è stato dimenticato. Il processo di riforma dei poteri locali, sebbene con lentezza e ripensamenti, in ogni caso continua nel suo percorso e sempre di più sembra andare nella direzione di assegnare una dignità che non sia solo formale al ruolo della Provincia.

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