venerdì 8 luglio 2011

Le Province sono diventate il capro espiatorio per gli sprechi di tutte le amministrazioni pubbliche


Alcune riflessioni sono necessarie a seguito della polemica che si è sviluppata sull’opportunità di abolire le Province nel nostro ordinamento. Certo, gli esempi di amministrazione delle Province che ultimamente abbiamo sotto gli occhi, farebbero decisamente propendere per una loro abolizione.
In realtà, le Province, dall’avvento delle regioni in poi, sono state viste come enti in grado di poter solo assorbire risorse che, se mal utilizzate, si trasformano in sprechi. Ma, a confutare tale tesi, la disciplina dell’attribuzione di nuove funzioni alla Provincia segna il tracciarsi del nuovo ruolo che l’ente assume se è vero che su 34 materie per le quali era previsto il decentramento dalla legge 59/97, in ben 27 erano previste competenze per la Provincia. Il compito più importante è comunque costituito dall’attività di programmazione, e dunque, dalla concertazione e dal coordinamento, che gli consente di assumere anche una capacità di stimolo dell’azione programmatoria regionale, aggregando e coordinando le proposte avanzate dagli enti locali. È evidente che nel nuovo sistema delle autonomie territoriali fondato sul principio di cooperazione, la programmazione provinciale deve operare rispettando il principio di sussidiarietà in senso verticale e orizzontale quindi sia i vari livelli istituzionali sia i privati che sono tutti coinvolti.
La riforma costituzionale del 2001 ha previsto l’introduzione nell’ordinamento della Città metropolitana e la conseguente distinzione delle Province che potranno avere un senso solo in territori caratterizzati dalla presenza di piccoli comuni che da soli non sono in grado di gestire funzioni importanti. Tale soluzione non si adatta, invece, a territori molto urbanizzati con un capoluogo che assume un peso notevole nella più generale gestione dell’area, come appunto nel caso della provincia napoletana. In queste aree è possibile creare l’autorità definita Città metropolitana che assume in sé le funzioni della provincia e gran parte delle funzioni dei comuni.
La necessità di avere un Ente metropolitano forte, nasce anche dalla considerazione che la globalizzazione sta provocando trasformazioni che si riflettono in una sempre più crescente competitività dei territori. Nella realtà quotidiana, a causa di questo nuovo modo di rapportarsi con il mondo, si percepisce il bisogno di un diverso ruolo delle realtà territoriali. Le tendenze che vedono la creazione di sistemi che, travalicando il singolo Stato, provocano processi di standardizzazione anche degli stili di vita, costituiscono un superamento del sistema economico fondato sulla sola figura dello Stato. Questo, infatti, è sempre meno capace di dare risposte in grado di incidere in termini di sviluppo e ciò provoca la formazione di un sistema di culture politiche territoriali che reagiscono all’omologazione. Ciò favorisce lo sviluppo di una coscienza locale che, sentendosi partecipe di un nuovo modello di sviluppo, acquista voce per affermare il proprio ruolo economico, ma anche politico.
Il territorio oggi non è più considerato esclusivamente nella sua dimensione spaziale, ma è visto artefice della produzione e della conoscenza. E’ dal territorio che provengono le sfide più importanti che fanno rivalutare e riscoprire una cultura locale che cerca di affermare una propria identità. Ciò sta portando a un’esaltazione delle differenze in contrapposizione all’omologazione che il modello globalizzante cerca di imporre. È necessario, pertanto, affrontare una sfida mondiale dando un’evidenza maggiore alle realtà locali, esaltandone le differenze; occorrono istituzioni che le rappresentino e che, organizzate adeguatamente, siano in grado di affrontare il confronto internazionale e più da vicino i problemi locali.
Oggi il concetto di comunità locale tende ad essere modificato perché non esiste solo una concezione legata allo spazio territoriale definito in termini passivi, il concetto va integrato anche in termini attivi, intendendo con essi le interazioni sociospaziali cioè quelle interazioni che si sviluppano tra soggetti localizzati.
Gli insediamenti residenziali e produttivi, le infrastrutture (specialmente quelle destinate alla mobilità come strade, ferrovie, porti ecc.), caratterizzano molte superfici che sono marginali come i comuni che circondano la Città capoluogo e la campagna. Tali spazi, però, pur superando i confini amministrativi dei vari enti territoriali, rappresentano i luoghi nei quali s’intrecciano i rapporti e rendono ancora più evidente la ristrettezza di un governo delle trasformazioni urbanistiche circoscritto alla sola scala comunale. Le previsioni insediative o di destinazione dell’uso dei suoli, implicano, inoltre, l’orientamento al governo unitario d’area vasta, anche per garantire una qualità ambientale che è andata sempre più degradandosi non trovando adeguati livelli di governo del fenomeno.
In definitiva, le Province non andrebbero abolite, ma trasformate. Questi Enti intermedi dovrebbero assumere un ruolo solo nelle realtà territoriali caratterizzate dalla presenza di una forte concentrazione di piccoli comuni che da soli non sarebbero in grado di garantire funzioni che efficacemente diano azioni di sviluppo per il proprio territorio.
Nelle grandi città con i loro interland urbanizzati, dovrebbe essere create le Città metropolitana che assumerebbero tutte le funzioni della Provincia e del comuni. Purtroppo il discorso sembra essere oramai ancorato ad un tifo di tipo calcistico tra chi pretende l’eliminazione delle Province e chi, ostinatamente, cerca di mantenere una situazione che obiettivamente non può essere più mantenuta.
I risparmi di un’abolizione delle Province sarebbero certamente ridicoli, se si pensa che comunque le funzioni che vengono attualmente svolte non potrebbero anch’esse essere abolite e quindi necessitano di risorse per il loro esercizio, risorse nemmeno tanto insignificanti. Non dimentichiamo che oggi le Province svolgono funzioni afferenti a strade ed ad edilizia scolastica, per citare solo alcune storiche, ma anche quelle importantissime relative all’ambiente ed al mercato del lavoro, per dirne alcune delle più recentemente attribuite. Gli unici risparmi potrebbero essere quelli legati ai costi della politica, ma che in definitiva rappresenterebbero un misero risparmio .
Le province, paradossalmente rispetto a quanto oggi si dice, potrebbero garantire, invece, risparmi notevoli se solo si pensasse di attribuire ad esse tutte quelle funzioni che attualmente vengono svolte da una miriade di enti che insistono sullo stesso territorio, non ultimi, potrei arrivare a dire, anche le ASL. Eliminare tanti Consorzi, Comunità montane, associazioni di comuni, Autorità di bacino, Enti di più vario genere ed attribuire tutta la responsabilità delle competenze esercitate alla Provincia di riferimento. Questo comporterebbe sicuramente dei risparmi!!!
In definitiva le Province non vanno abolite, ma trasformate, prevedendo nel contempo anche un’opera di ottimizzazione che non può prescindere dall’eliminare Province con un numero basso di abitanti. Province con meno di 200.000 abitanti non hanno senso, per esempio, ma il limite potrebbe anche aumentare.
Insomma oggi le Province sono diventate il capro espiatorio che deve essere sacrificato per le responsabilità degli sprechi che in tutte le amministrazioni ci sono. Non è un modo serio di procedere.

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